Francesco Motta: «La musica è finita, voglio tornare a provare paura e vertigini»

Il cantautore toscano pubblica il nuovo album. Registrato tra Roma, Milano e New York, esce dalla zona di comfort e dà vita a una serie di suoni di scoperta

Francesco Motta: «La musica è finita, voglio tornare a provare paura e vertigini»

di Rita Vecchio

Un artista libero, per tanti versi coerente. Anche se, coerenza, non è una parola che predilige. Francesco Motta pubblica venerdì 27 ottobre un disco che gioca sugli opposti, "La musica è finita" (Sugar Music). Un paesaggio bifronte sulla copertina di Pepsy Romanoff ne disegna perfettamente il pensiero: una città capovolta dal fondale blu e un paesaggio lunare, inesplorato, grigio, e ancora tutto da colorare. Ed è da questa parte ancora da scrivere che il cantautore di origini toscane sceglie di posizionarsi, con la curiosità ritrovata di quel bambinio punk quale che era e una concezione più aristotelica della felicità. 

Motta, perché un titolo di chiusura?

«Per ripartire bisogna chiudere, e io qui ho messo il punto a un certo modo di raccontare». 

La musica è finita e la manda anche elegantemente a quel paese. 

«Cercare ossessivamente la felicità è uno dei modi peggiori per essere felici. E quindi ho mandato a "fanculo" tante cose, fra cui me. ”Per non pensarci più" è stata l'ultima canzone scritta e ha racchiuso liberazione e leggerezza che, mai come prima, avevo toccatot così da vicino».

"La musica è finita" (Sugar Music) - copertina di Pepsy Romanoff

Sette anni dal primo disco, "La fine dei vent'anni", le colonne sonore per il film, due premi Tenco, un Sanremo… 

«Appunto. Era giunto il momento di superare i limiti, di oltrepassare la zona di comfort, di provare nuovamente vertigini e paura, sensazioni che perdi quando ti abitui a fare le stesse cose. “La musica è finita” è un disco figlio di una nuova solitudine. Di ore e ore trascorse piacevolmente in studio, di una ritrovata voglia musicale senza distrazioni artistiche, ma anche della volontà di difendere le proprie idee. Sono tornato all’approccio punk delle origini».

Qual è la direzione?

«Musicalmente c’è tanta elettronica. So che è una direzione inesplorata e so per certo che per ora è la strada che mi fa più divertire». 

C’è solo un modo per trovare la propria strada, sbagliare. Pensa di avere più sbagliato o di averle più azzeccate?

«Non saprei dirlo. Sono felice delle scelte che ho fatto. Sono riuscito a portare avanti un certo tipo di pensiero e di valori, ho dato importanza alla musica facendone un mestiere, nonostante la fatica che è costata». 

E’ più attore o più regista? 

«Spero di essere più regista. Mi reputo consapevole delle scelte che faccio. L’attore entra nella vita scritta da altri, io invece vorrei scrivere la mia». 

Il primo disco che ha comprato? 

«Edoardo Bennato, ma non mi nascondo nel dire che tra i miei acquisti ci fu pure il cd delle Spice Girls»

Il primo concerto?

«Sempre Bennato». 

Coerente. 

«Su questo sì. Ma dare importanza al mio mestiere non va di pari passo con la coerenza». 

Canta che “l’ha uccisa”. 

«Descrivo la battaglia per non rimanere aggrappato allo stesso pensiero di quando avevo 18 anni. La coerenza si era trasformata in un processo inerziale. Era la gabbia da cui mi sono finalmente liberato». 

Francesco Bianconi, Danno, Willie Peyote, Giovanni Truppi, Jeremiah Fraites, tra gli altri. Aggiungo Tommaso Colliva e una band rinnovata, tra i cori Emma Nolde e sua moglie, l’attrice Carolina Crescentini

«Nomi che indicano la mia apertura. Sono stato per tanto tempo convinto che se tutti facevano featuring, io di conseguenza dovessi agire ostinatamente al contrario. Per quanto io venga da una band (Criminal Jokers, ndr) e abbia sempre lavorato con tanti bravi musicisti, sentire un altro cantare accanto non era un passo che ero pronto a fare. Era una gabbia anche quella». 

Francesco Motta (crediti di Pepsy Romanoff)

“Anime perse”: è stato una di quelle?

«Non sa quante volte (ride, ndr). Mi perdo spesso. Poi grazie alle canzoni e alla terapia, uno dei regali più belli che mi sono fatto negli ultimi anni, ritrovo la via. Ci si deve volere bene». 

Il tema dell’amore tossico è ispirato alla cronaca nera? 

«Qui non tanto. Lo racconto più metaforicamente e da entrambe le parti. Il femminicidio, invece, è da combattere in modo totale e unilaterale».

Nella vita, si sente un “bravo giocatore”?

«Dipende. Non sono bravo a fare finta di essere qualcun altro, ho scelto infatti il mestiere che mi permette di essere me stesso». 

E sempre la vita, qualche volta, l’ha “imbrogliata”? 

«Ho cercato di non pensare, anche nei momenti di euforia, al prima o al dopo, perché non ero consapevole del tutto di quello che mi stava succedendo. Questo disco è più figlio del presente, anche se, ammetto, mi eccita da morire pensare al futuro». 

Nella musica è finita, la parola “guerra", come “macerie”, ricorre già volte.

«Perché è un significante forte, mi aiuta a esprimere concetti estremi che riguardano la condizione umana.

Questo accade in “Alice" con Giovanni Truppi, così come in “Titoli di coda” con Willie Peyote, per esempio».

Quanto conta il silenzio?

«Chi fa il mio mestiere non dovrebbe mai tacere. E’ fuori moda dire il proprio pensiero in questo preciso periodo storico, ma non dobbiamo cedere alla moda». 

Lei non l’ha fatto nemmeno agli esordi. 

«Ho sempre urlato ai miei concerti contro il fascismo. Come mi sono sempre esposto, non solo come cantautore ma anche come cittadino. La distanza della musica dalla politica è la stessa che si trova nel disincanto che hanno le persone. Non andrò bene a tutti, ma ci tengo a portare avanti il mio pensiero senza vergognarmi».

Con “circondato da nemici” si riferiva alla destra? 

«La destra non è mia amica, ma una volta tanto il riferimento nel brano “Quello che ancora non c’è”, non era alla politica». 

“Regina Peste”, “a cena con il diavolo”, “viviamo nell’era desacralizzata”, “la borghesia”, questi lo sono però.

«Il testo è di Francesco Bianconi. Non mi assumo la responsabilità di dire che lo sia anche per lui, ma per come la canto io (“La musica è finita”, ndr), e qui sono interprete, penso sì alla politica. In questo pezzo ero quasi disincantato e l’incontro con un altro disincanto sembra averlo riempito di speranza». 

Si sente ascoltato? 

«Ascoltato meno che mai, ma nemmeno rappresentato in alcun modo. Perdoni la mia schiettezza, ma sono sincero, senza riserve. Non mi rispecchio in nessuna idea di questo governo. Non sono d’accordo su tutto quello che dicono». 

Un esempio?

«Il DDL Zan, il primo esempio che mi viene in mente. Manca la difesa da parte dello Stato rispetto a libertà che dovrebbe garantire e rispettare». 

E Roma

«E Roma resta una città che sopporto sempre di meno, tanto bella quanto piena di contraddizioni. E’ insieme tutto e il contrario di tutto. Il più grande specchio del Paese». 

Però ci vive. 

«Ci vivo e il prossimo anno diventa la città in cui ho vissuto di più nella mia vita. Queste contraddizioni mi hanno aiutato a scrivere, ad analizzare le cose in tutte le loro sfaccettature. Ma davvero non la sopporto più». 

A proposito di trappole in cui è caduto, "per colpa sua o per cattivo insegnamento di altri", Sanremo 2019 è stata una di quelle?

«Certo. E’ più facile per un ventenne viverlo ingenuamente e in modo sano che non per me. Al Festival ero andato - e su questo mi piace spesso citare Gaber - "perché me lo avevano detto, anche se non mi avevano detto tutto". Cadere, con un brano intimo come "Dov’è l’Italia", era un attimo. Il palco dell’Ariston, lo stesso del Tenco che avevo frequentato già (vincitore della Targa nel 2016 come Opera Prima con l’album “La fine dei vent’anni”, nel 2018 come Miglior Album in Assoluto con “Vivere o Morire”, ndr), mi aveva dato la presunzione di potercela fare. Invece Sanremo era molto altro, era più televisivo. Detto ciò, se la sua domanda chiede anche se ci tornerei, dico di sì. Con molta più consapevolezza, però». 

Il cinema? 

«Ho scritto la colonna sonora di “The Cage” di Massimiliano Zanin, presentato in questi giorni al Festival del cinema di Roma, e “Non riattaccare” di Manfredi Lucibello, con Claudio Santamaria e Barbara Ronchi». 

Di immediato c’è il tour. Prima data il giorno di uscita del disco. 

«E' un momento in cui mi sento vivo, oltre che libero. Non salire sul palco è stato un compromesso con cui sto facendo pace. Sono contento di ritornare a suonare dal vivo». 

Bambino punk, poi adolescente curioso. E adesso che va verso i 40, Francesco Motta come è? 

«Sto ritrovando il bambino delle origini, sta facendo i conti con lui e sta tornando a credere nella sete di scoperte. Sto accettando quello che sono».

Un adulto consapevole.

«Ci provo». 

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DATE DEL TOUR nei club (prodotto e organizzato da Magellano Concerti)

 

27 ottobre – LIVORNO – The Cage (data zero)

9 novembre – MILANO – Magazzini Generali

10 novembre – TORINO – Hiroshima Mon Amour

11 novembre – RONCADE (TV) – New Age

16 novembre – FIRENZE – Viper

17 novembre – BOLOGNA – Estragon 

23 novembre – POZZUOLI (NA) – Duel Club

24 novembre – CIAMPINO (RM) – Orion

Per info sui biglietti, motta-tour-club-2023. In tutti i concerti saranno presenti i volontari di Emergency. Tornano con lui sul palco Giorgio Maria Condemi (chitarre) e Francesco Chimenti (basso e cello) ai quali si aggiungono per la prima volta, Davide Savarese (batteria) e Whitemary (synth ed elettronica).

 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 26 Ottobre 2023, 22:19
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